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martedì 16 marzo 2010

Opinioni su Morti di sonno di Davide Reviati


Morti di sonno di Davide Reviati si è piazzato al secondo posto nella Top Ten 2009 del sito Lo Spazio Bianco.
Sotto copio le motivazioni di alcuni votanti.

Luigi Siviero:
Uno dei meriti di Morti di sonno è di riuscire a rendere in modo efficace il cambiamento della percezione di tempo e spazio dall’infanzia all’età adulta. Per i bambini che vi abitano, il petrolchimico di Ravenna e il villaggio degli operai sono grandi come un Universo. Le partite di calcio, le esplorazioni dei canali e tutti gli altri giochi hanno un’aura epica e la pretesa di durare e essere ricordati in eterno. Travolte sotto il peso di centinaia di pagine del fumetto e di decine di anni dei protagonisti, le percezioni si ribaltano diventando un rapido e convulso susseguirsi di violenza, droga e rassegnazione.

Paola Bristot:
“Per raccontare la verità di una storia è necessario mentire”. Questa frase folgorante di Davide Reviati ci illumina sulla forza narrativa di “Morti di sonno” che trascende la realtà, pur partendo da essa, trovando così una dimensione “universale”. Davide Reviati ci racconta un capitolo della Storia italiana che non è mai entrato nei libri di Storia, che forse trova dei precedenti nel romanzo di Pier Vittorio Tondelli, “Altri libertini”, o in “Pompeo” di Andrea Pazienza, anche se questi sono libri raccontati in “presa diretta”, mentre “Morti di sonno” è filtrato dal tempo trascorso e dalla memoria… Certo è che la scrittura di Davide Reviati è assolutamente poetica e originale, molto neorealista, in un certo senso. Un romanzo corale, il suo, in cui il protagonista potrebbe essere uno qualunque dei ragazzini che giocano a calcio nel villaggio Anic di Ravenna, una periferia come tante altre nell’Italia del boom economico, e che poi si scontrano con il passaggio brutale alla realtà degli anni di piombo, quelli dell’eroina e dell’Aids, che hanno mietuto vittime il cui numero ufficiale non si è mai saputo.



Andrea Plazzi:
Un romanzo di formazione di ampio respiro, un’epica degli umili che alla forza corale della narrazione unisce una raffinatezza grafica che, nonostante l’impianto pittorico, non penalizza la scansione fumettistica e la leggibilità del racconto. Un libro importante per il fumetto italiano, che espande considerevolmente la tavolozza espressiva della narrativa di ispirazione (auto)biografica. E, per chi conosce da anni le potenzialità di Reviati – autore-per-autori noto e stimatissimo da colleghi e professionisti dell’editoria, ma quasi sconosciuto all’appassionato – l’enorme soddisfazione di vederle espresse.

Laura Pasotti:
Davide Reviati ripercorre l'infanzia di un gruppo di ragazzini cresciuti all'ombra del petrolchimico di Ravenna. Siamo nel villaggio Anic, creato per gli operai della fabbrica. Sogni, speranze, delusioni e le interminabili partite di calcio cadenzano il ritmo di una storia che ha il sapore del romanzo di formazione e corre sul filo della memoria.

Matteo Stefanelli:
I dolori della crescita di un dodicenne, tra interminabili partite di calcio, la comparsa dell’eroina e l'ombra del petrolchimico, in “un’estate lunga dieci anni” di fine anni Settanta. Uno splendido e dolente lavoro sulla qualità della memoria.



Alberto Casiraghi:
Tra le tante periferie italiane, quella raccontata nel fumetto di Reviati è densa di suggestioni e di memoria rimossa - storica e sociale - profondamente attuale. Un ritratto spietato dello sviluppo deformante dell'Italia industriale, visto attraverso le vite di ragazzi alla deriva in un vuoto quotidiano da riempire in strada, magari con una partita a pallone. Una prova convincente per un autore ora maturo e dalle grandi potenzialità.

Andrea Fornasiero:
Anche qui la terra è ammorbata da un male chimico e all’ombra di un inquietante stabilimento sorge il Villaggio. No, la gente non è chiamata per numero, ma la vita è dominata dai ritmi del lavoro. I ragazzini scacciano un futuro sinistro tirando calci al pallone in un campetto improvvisato dell’Italia degli anni 60. Reviati ne presenta i volti con un tratto minimo, lascia che l’energia dei movimenti ne allunghi il corpo proteso verso la palla, e spesso cancella tutto il resto in un’estasi agonistica che esorcizza il mondo. Ma finita (o anche solo interrotta) la partita, la cattiveria riaffiora e si consumano piccoli e grandi soprusi. Un giorno anche quelli saranno ricordati come momenti di un tempo, se non più felice, almeno più vitale.


Michele Ginevra:
Un vero capolavoro, sofferto, testardo, irriducibile. Alla fine non riesce ad essere un vero romanzo grafico compiuto, ma rimane una testimonianza grafica straordinaria e viva. Il primo autore italiano a far capire, per esempio, l'importanza sociale e formativa del calcio praticato nei campetti.

Ettore Gabrielli:
Un racconto che si sviluppa per frammenti, per ricordi disordinati ma tenuti assieme da una grande vena narrativa e da un tratto dinamico, potente, poetico, personalissimo. La maturazione definitiva di un talento finora poco conosciuto.

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